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AIKIDŌ

Le arti marziali giapponesi hanno una lunga tradizione storico-culturale che affonda le sue radici nell'epopea medievale dei samurai, i più abili guerrieri dell'antichità. Queste discipline hanno avuto nel tempo una loro evoluzione che cammina di pari passo con la trasformazione della loro cultura di origine.

Oggi, la disciplina che più di altre ha mantenuto il suo legame con la tradizione samuraica, pur evolvendosi chiaramente dal punto di vista tecnico e filosofico è proprio l'Aikidō.

Infatti, essa si esprime attraverso lo studio approfondito delle tecniche nel combattimento a mani nude, discendenti dirette ed evolute di quelle utilizzate dai samurai, la conoscenza e la consapevolezza di se e di se in relazione al mondo circostante, un attento approfondimento delle biomeccaniche che sottendono all'utilizzo corretto del proprio corpo e ad una costante attenzione a relazionarsi, grazie ai principi appresi, alle quotidiane proposte della vita.

L'Aikidō è dunque una via da percorrere per il raggiungimento della libertà, della serenità e della piena consapevolezza di se e, da un punto di vista marziale, non per diventare “più forti” ma per conoscere e combattere ciò che rende deboli.

Questa disciplina fu fondata da Ueshiba Morihei, considerato tra i più grandi budōka della storia del Giappone. Dopo lunghi anni di studio del Jujutsu, Ueshiba iniziò a seguire il temutissimo Takeda Sokaku ed il suo Daitō Ryū Aikijutsu.

Questo incontro fu decisivo per lo svilupparsi della concezione del Budō di Ueshiba il cui principale merito è quello di aver sviluppato e definitivamente introdotto nella pratica marziale il concetto di Aiki, la vera e grande innovazione delle arti marziali giapponesi.

Dopo tante evoluzioni, l’Aikijutsu, sotto Ueshiba, divenne prima Aikibudō e infine nel 1947, Aikidō.

Aiki è un principio che si può tradurre “armonizzazione dell’Energia Psico-Fisica” e trasformò letteralmente la pratica del Budō a mani nude. Fino ad allora, tale pratica era basata sulla ripetizione canonica di forme prestabilite (kata) credendo che queste potessero realmente essere applicate al combattimento. In realtà si trattava di una pratica che, seppur con la presenza del partner, risultava “solitaria”, ovvero, ad un attacco prestabilito da parte del partner corrispondeva un kata da applicare. La canonizzazione divenne così rigida che persino le possibili “varianti” delle tecniche furono schematizzate in kata. Così era e così rimase fino all’introduzione del principio di Aiki, grazie al quale si è effettuato un decisivo passo oltre il kata che, pur rimanendo la base della pratica, viene considerato una sorta di manuale da cui apprendere quei principi che poi verranno applicati nella reale pratica.

Riassumendo, quindi, con l’introduzione dell’Aiki, il centro della pratica non fu più la tecnica standard, il kata, ma la relazione. Ovvero, la tecnica (waza) nasce e si sviluppa a seconda della relazione che si istaura con il partner e si modifica attraverso le miriadi di variabili che la relazione con un altro individuo può avere.

La pratica dell’Aikidō, pertanto, si rende adatta a tutti, giovani e meno giovani, donne e uomini, a corpi minuti e non. Una pratica votata alla relazione è una pratica diretta all’essere umano che, senza relazioni, non esisterebbe.

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